Prelevamento degli averi del pilastro 3a ai fini del versamento nella cassa pensione
I reclamanti erano due coniugi che, dal profilo fiscale, erano imposti congiuntamente. In base a quanto da loro esposto, la moglie era titolare di un conto pilastro 3a presso la fondazione di previdenza della banca. In considerazione della loro età e della possibilità di effettuare un prelevamento ordinario, il loro consulente fiscale aveva consigliato di prelevare il pilastro 3a e di riversarlo direttamente nel 2° pilastro, così da poter dedurre il relativo importo nella dichiarazione dell’imposta sul reddito. La banca, tuttavia, aveva documentato l’operazione in modo tale che ne era risultato un trasferimento dal pilastro 3a al 2° pilastro senza alcuna incidenza fiscale. A dire dei clienti, la banca avrebbe dovuto illustrare alla moglie le ricadute fiscali delle due varianti di prelevamento e, tenuto conto del fatto che entrambi erano imposti congiuntamente, vegliare affinché fosse scelta quella più attrattiva per entrambi. Poiché questo non era avvenuto, essi avevano chiesto alla banca di documentare a posteriori la transazione in modo che si potesse ottenere il risultato fiscale desiderato e di rilasciar loro le necessarie attestazioni. In caso contrario, essi chiedevano alla banca di rifondere il danno fiscale insorto, pari ad alcune migliaia di franchi.
Nella sua risposta al reclamo dei clienti, la banca ha osservato che il processo era stato eseguito in conformità alle istruzioni della moglie. Essa riteneva che, in mancanza di un relativo mandato, non era tenuta a fornire una consulenza fiscale. Essa affermava inoltre che, prima dell’accaduto, i clienti non si erano avvalsi della consulenza in materia previdenziale offerta loro a pagamento. A suo dire, la consulenza fiscale rientrava nelle mansioni del consulente fiscale dei clienti. Essa negava di aver fornito una consulenza sbagliata. Poiché la transazione richiesta non aveva avuto nessuna incidenza fiscale, essa non poteva allestire a posteriori una dichiarazione fiscale che documentasse un presunto versamento degli averi del pilastro 3a a seguito del raggiungimento dell’età di prelevamento: questo non avrebbe infatti rispecchiato i fatti.
In considerazione di ciò, l’Ombudsman si è permesso di osservare che, in base alla sua esperienza, i trasferimenti dal pilastro 3a al 2° pilastro sono frequenti e che essi non hanno di norma alcuna incidenza fiscale. Come risultava dall’ordine scritto, che la moglie aveva indirizzato alla banca, rispettivamente alla sua fondazione di previdenza, esso conteneva chiaramente l’istruzione di procedere ad un trasferimento diretto degli averi del pilastro 3a al 2° pilastro.
In considerazione della sua età, la moglie avrebbe anche potuto prelevare gli averi del pilastro 3a, ossia toglierli dal sistema previdenziale e, subito dopo, riversarli nella sua cassa pensione. Stando ai clienti, nonostante le conseguenze fiscali del prelevamento, questa variante sarebbe stata nettamente più attrattiva, tenuto conto della possibilità, per i coniugi imposti congiuntamente, di dedurre dal reddito l’importo versato nel 2° pilastro. Questa seconda variante era d’altronde quella che era stata loro prospettata dal consulente fiscale.
L’Ombudsman si è chiesto se nel caso in esame la banca avrebbe avuto il dovere, in relazione all’ordine impartito, di chiedere ulteriori chiarimenti sui motivi dell’operazione desiderata e, in base a ciò, di proporre la variante più attrattiva dal profilo fiscale. Simili consulenze vengono fornite di regola da divisioni speciali della banca, sulla base di contratti scritti e a fronte di un corrispettivo separato. L’Ombudsman ha quindi potuto comprendere la posizione della banca che affermava non essere tenuta a fornire questo tipo di consulenza, tanto più che i clienti non si erano avvalsi di quella in materia previdenziale ch’essa aveva offerto loro.
Egli ha inoltre ritenuto evidente che la banca non potesse allestire a posteriori documenti giustificativi tali da documentare una transazione diversa da quella ordinata ed eseguita, in modo da permettere ch’essa apparisse fiscalmente più vantaggioso per i clienti. Ciò non sarebbe lecito. Pertanto, procedendo in questo modo, la banca avrebbe esposto se stessa e i suoi collaboratori a ingenti rischi dal profilo regolamentare e penale. Poiché, secondo l’Ombudsman, non poteva essere imputato alla banca un comportamento errato, la richiesta d’indennizzo dei coniugi per il danno fiscale subito era da considerarsi infondata.
Tenuto conto della posizione chiara della banca e delle considerazioni di cui sopra, l’Ombudsman, pur comprendendo che i coniugi potessero essere insoddisfatti per le conseguenze fiscali subite, non ha avuto altra scelta che informarli, nella sua presa di posizione finale, che era costretto a chiudere il procedimento di mediazione.