Ordine di pagamento errato in valuta estera
Il ricorrente era proprietario di una Sagl, titolare di una relazione bancaria in CHF. Il traffico dei pagamenti della ditta era solitamente limitato agli accrediti in CHF a favore di beneficiari in Svizzera. In via eccezionale, la ditta aveva dovuto effettuare due grossi pagamenti nella cosiddetta «zona euro». Il titolare della ditta, avente diritto di firma, si era quindi recato personalmente in banca, aveva concordato un tasso di cambio ed aveva impartito degli ordini di pagamento per un totale di ca. 180’000 EUR. L’ordine era stato immediatamente eseguito dalla banca, secondo le istruzioni ricevute. Il giorno successivo, la banca in «zona euro» del beneficiario aveva rinviato al mittente entrambi i pagamenti poiché, secondo le indicazioni da essa fornite, il numero IBAN indicato non era corretto. La banca aveva in seguito riconvertito gli importi in CHF e li aveva riaccreditati sul conto in CHF della ditta. A seguito della differenza intervenuta nei corsi di cambio, la ditta ha subito una perdita di cambio di circa. 3’000 CHF. Il titolare della ditta era dell’avviso che la banca non avrebbe dovuto convertire immediatamente gli EUR ritornati, bensì tenerli in «stand by» in attesa di contattarlo. Secondo lui, le istruzioni di pagamento avrebbero facilmente potuto essere corrette e una conversione da EUR in CHF non sarebbe stata necessaria. Si sarebbe potuto così evitare l’ingente perdita di cambio. Sempre a suo avviso, in alternativa la banca avrebbe dovuto aprire un conto in EUR e accreditare gli importi su di esso. Adducendo queste argomentazioni, egli ha dunque chiesto alla banca di farsi carico della perdita di cambio, ciò che la banca ha rifiutato. Contrariato, il titolare della ditta si è dunque rivolto all’Ombudsman.
L’Ombudsman capiva in sostanza la reazione del titolare per la perdita subita e comprendeva perché egli si fosse atteso un modo di agire diverso della banca. Tuttavia, ha dovuto ricordare al cliente le disposizioni contrattuali applicabili, tra cui il regolamento base della banca, che era stato accettato dalla ditta al momento dell’apertura del conto. Infatti le condizioni per il traffico dei pagamenti stabilivano esplicitamente che i pagamenti respinti venivano riaccreditati dalla banca sul conto precedentemente addebitato, con valuta alla data di ricezione. Il regolamento base in esame precisava inoltre che il cliente era tenuto ad assumersi un eventuale rischio valutario. Poiché non sussisteva alcun obbligo contrattuale della banca di consultare il cliente in simili eventualità, l’Ombudsman non ha potuto ravvisare alcuna mancanza da parte della banca. Per finire l’Ombudsman, in considerazione delle chiare disposizioni contrattuali, non ha potuto condividere la tesi del titolare della ditta, secondo cui era evidente che la banca, in attesa di contattarlo, avrebbe dovuto tenere gli importi in «stand by» oppure procedere all’apertura di un conto divise su cui accreditare il denaro. Un ulteriore aspetto degno di nota è che la banca, come emergeva chiaramente dalla sua presa di posizione nei confronti del titolare della ditta, gli aveva consigliato di aprire un conto in EUR in vista dell’esecuzione del pagamento. Il cliente, però, aveva apparentemente rifiutato per ragioni di costi.
Non avendo ravvisato alcun comportamento errato da parte della banca, l’Ombudsman non ha ritenuto vi fossero margini per una mediazione.